LA FONDAZIONE
Molti sono coloro che si sono preoccupati, nel corso dei secoli, di redarre una sorta di storia o descrizione della formazione di Villafranca. Tra questi ricordiamo lo storico Monsignor Francesco Agostino Della Chiesa, il professor Riccardo Marini, il Padre Agostiniano Giuseppe Agostino Borla da Chivasso, il padre Giovanni Borsarelli, professore di Retorica nella Congregazione dei Filippini di Villafranca. Per questi autori, la fondazione di Villafranca Piemonte risale alla quinta discesa in Italia di Federico Barbarossa che nel 1174 avrebbe distrutto i borghi Soave e Musinasco. Gli abitanti rimasti quindi approfittando della successiva Pace di Venezia (1177), si sarebbero stanziati a metà strada tra i due borghi originari, dando vita alla nuova “Villa” che per essere esente dagli esosi diritti di feudalità, venne detta “franca”.
Questa ipotesi non può essere considerata oggi vera, soprattutto per il fatto che Federico Barbarossa, fin dalle prime discese, fu sempre accolto amichevolmente a Torino. Il Conte Umberto III di Savoia parteggiava per lui, così come il Vescovo di Torino, a cui l’Imperatore aveva fatto grandi donazioni. Villafranca inoltre, era lontana dal suo cammino e fuori da ogni strada transalpina.
L’errore si deve probabilmente ad una errata interpretazione di una notizia citata dallo storico Della Chiesa.
Tra tutte queste ipotesi e congetture, l’unico dato sicuro è la fondazione di Villafranca, avvenuta proprio al tempo dell’ultima discesa di Federico Barbarossa (1174), ma effettuata per deliberato proposito collettivo e in comune accordo con il feudatario, su una planimetria prestabilita, come dimostra la pianta del paese che sorge regolare come un accampamento romano, con vie che si incrociano ad angolo retto formando una scacchiera (cinque vie dirette da est a ovest: via Piave, via Roma, via Badariotti, via Conti Rebuffo, via Fratelli Mottura, tagliate da altre quattro vie dirette da nord a sud: via Caduti per la libertà, via dell’Annunziata, via Valzania, via Borgo Soave).
Dagli atti di donazioni e lasciti si deduce che il territorio su cui sorge Villafranca apparteneva ai Savoia; il feudatario di Soave e Musinasco era il Conte Tommaso I di Savoia (1177-1233), che ben presto intuì il vantaggio politico, commerciale e soprattutto militare e strategico di una località sentinella sulle sponde del Po, dove il fiume era facilmente guadabile, e perciò concesse (se non addirittura impose) ai suoi vassalli di trasferirsi dalle borgate nella nuova località, accordando loro le agevolazioni e le esenzioni necessarie e il libero asilo a chi volesse stabilirvisi.
Da queste agevolazioni ed esenzioni, il nome di “Villafranca”.
Il primo atto in cui si ricorda Villafranca Piemonte è un accordo del 27 giugno 1197 “actum ad Villafrancam in ripa Padi super portum”.
IL CASTRUM
Il fiume Po garantiva quindi al nascente paese e in particolare al suo feudatario, non solo la più sicura linea naturale di confine dei suoi stati, ma anche il passaggio obbligato per l’offesa e la difesa, una linea di comunicazione economica, rapida e sicura e una fonte continua di attività per i suoi abitanti (prima fra tutte la pesca, vera e propria professione per gli abitanti del paese fino agli inizi del nostro secolo). Inoltre, il terreno su cui sorgeva il nuovo abitato si presentava particolarmente fertile e facile alla lavorazione agricola.
Dati questi requisiti, già a vent’anni dalla fondazione, si ha notizia di varie famiglie signorili che si insediano a Villafranca (i Danieli, i Marini e i Petitti provenienti da Terzuolo, gli Aimar, i Bocciardi, i Bongiovanni,...).
Il Conte Tommaso I di Savoia deve allora pensare, oltre che a incentivare l’insediamento della popolazione nella zona, anche a garantirne un’adeguata sicurezza, fortificando il paese e trasformandolo in un “castrum” .
I primi elementi del territorio villafranchese che il Conte Tommaso I sfrutta sono le acque del suolo e del sottosuolo (le risorgive), che furono opportunamente incanalate in numerose “gore e bealere”. Si passò quindi alla costruzione delle mura perimetrali del paese e delle case forti e solo successivamente all’escavazione dei fossi e dei canali indispensabili all’irrigazione delle colture agricole.
A Tommaso I di Savoia succede il figlio terzogenito Tommaso II (1199-1259) che, continuando la politica paterna e nell’intento di premunire sempre di più il confine meridionale dei suoi possedimenti (che confinavano con il Marchesato di Saluzzo), fa costruire sulla sponda sinistra del Po in territorio villafranchese, fra il 1239 e il 1245, il castello e fa rinforzare le mura perimetrali.
Realizzate queste opere, Tommaso II comincia a introdurre nel paese nuovi abitanti, con l’obbligo di “stare et habitare et domun facere et aedificare in Villafrancha” , rivolgendosi specialmente agli abitanti di Borgo Soave, colpevoli di accaparrare uomini e cose a scapito del nuovo paese.
Nel 1251, Villafranca viene ufficialmente dichiarata Castrum in un preciso documento: è ormai un villaggio rurale trasformato in luogo fortificato.
LE MURA
Le mura edificate da Tommaso I, sorte prima del 1260, per quanto esistessero ancora nella prima metà del XVI secolo, lasciarono ben poche tracce della loro presenza. Se ne può seguire approssimativamente il tracciato sulla base delle indicazioni toponomastiche e dei documenti storici.
Iniziando dall’attuale via Pasubio, le mura si allineavano lungo la bealera detta “Bealerassa”, e ne seguivano tutto il corso fino al suo sbocco nell’attuale rio detto del “Martinetto”.
Dividendo il percorso in due tratti, consideriamo quello a sud del paese, che va fin dove la Bealerassa, presso i giardini della Parrocchia di Santo Stefano, cambia direzione ad angolo retto e assume un corso perpendicolare al tratto precedente; consideriamo quello a est, quello dietro la Chiesa di Santo Stefano, fino alla confluenza nel Martinetto.
Il primo tratto, a sud, occupava in larghezza lo spazio fra la Bealerassa (che ne lambiva la parte esterna) e l’attuale via Bastion Verdi. All’incontro con l’attuale via dell’Annunziata, si apriva nel bastione la cosìdetta “Porta di Saluzzo” (perché posta in direzione dell’omonima città nel confinante Marchesato). Oltrepassata la Porta, le mura continuavano lungo la bealera (includendo il luogo dove successivamente sorse l’attuale Chiesa delle Madonnine), dirette verso il Po, fino nelle vicinanze dei giardini della Parrocchia di Santo Stefano.
Da questo punto, incominciava il tratto est delle mura: una prima parte del quale era rappresentato dalle mura di cinta della sopracitata Parrocchia e l’altra da quel muraglione fiancheggiante i giardini (degli edifici che si affacciano sull’attuale via Caduti) che serve da argine agli stessi e alla bealera. Questo muraglione però non ha più nulla a che vedere con le originarie mura tommasine, essendo stato costruito alla fine del ‘600.
La cronaca del professor Marini sostiene che le mura non esistevano più già nel 1549 e che il luogo dove esse sorgevano era stato dato in quello stesso anno dal Re di Francia Enrico II (allora signore del paese), ai Padri Agostiniani del Convento di Santo Stefano. Secondo il Borla, invece, il donatore era il Duca Carlo III di Savoia (il Buono, padre di Emanuele Filiberto) che fece dono del sito nel 1545.
Lo spazio tra la Chiesa di Santo Stefano e il corso corrispondente del Martinetto formava un blocco solo, occupato dal Monastero delle Monache Agostiniane, fin dal 1523. Le monache, nel 1690, comprarono una buona parte del materiale del Castello (demolito dal generale francese Catinat) e con esso innalzarono il sopracitato muraglione, lungo la linea delle antiche mura cittadine e costruirono la Chiesa del Monastero. Alla confluenza della Bealerassa con il Martinetto, avevano termine presumibilmente le mura del paese.
Tra il Martinetto e la Bealera grossa (o del Molino) sorgeva infatti il Castello, le cui opere esterne di fortificazione sostituivano le mura e, tra i loro terrapieni e le fosse, si apriva la Porta del Po.
Il Brayda e il Ricci attribuiscono al paese solo tre Porte, escludendo che esistesse quella orientale, verso il Po “essendo sufficiente difesa il corso del fiume”; il Cavaliere Pietro Baiardo, invece, nelle sue Memorie sostiene che, nel 1515, vi erano due sole Porte, una delle quali era proprio la Porta del Po. Gli Statuti di Villafranca (1384) sono più espliciti e indicano le quattro Porte di accesso al centro abitato: Porta Suaviarum (a ovest) detta poi di Sant’Antonio, Porta Saluciarum (a sud), Porta Pontis Padi (a est) e Porta Vigonis (a nord).
Delle mura che cingevano il lato nord-ovest del centro abitato non si ha altro ricordo se non la denominazione di via Dietro Mura (oggi via Piave) alle quali fungeva da fosso un lungo tratto del Martinetto e poi della Bealera Grossa.
Il paese, come detto in precedenza, era formato da due nuclei principali e distinti: il primo (risalente agli anni 1174 - 1180) situato a nord-est e denominato “Borgo Musinasco”, non lontano dalla sponda del Po, e il secondo (1239 - 1245), detto “Borgo Soave", posto a sud-ovest rispetto al precedente.
Le circostanze che portarono alla fondazione di Villafranca sono individuabili in tre tempi distinti:
1. Tommaso I di Savoia, intorno al 1180, decide la costruzione del paese per raccogliere in un’unica località le popolazioni dei borghi primitivi di Soave e Musinasco perché scarsi di popolazione, privi di strutture difensive e soggetti alle piene del Po e del Pellice. Fa quindi edificare un primo nucleo detto Musinasco (in ricordo di una delle due popolazioni originarie insediata a nord, verso la confluenza del Po nel Pellice): una crociera di isolati quasi rettangolari; successivamente, fa edificare un secondo nucleo, il Borgo Soave (anche questo deriva il suo nome da una delle due popolazioni primitive, insediata a sud-est, verso Saluzzo e Cavour), notevolmente più ampio del precedente, circondato da fossati e costituito da una scacchiera di nove isolati di forma pressoché regolare. Da notare che entrambi i nuclei hanno un orientamento nord-sud, lievemente inclinato a nord-est.
2. Tommaso I di Savoia, tra il 1239 e il 1245, riconosciuta l’importanza strategica del paese, promuove la costruzione delle mura, racchiudendo in un unico perimetro i due borghi originari (di cui conserva i fossati per motivi di sicurezza) e del Castello, che colloca all’estremità nord-est del borgo di Musinasco, verso la Bealera Grossa o del Molino.
Tra la seconda metà del secolo XIV e il secolo XV, poiché la popolazione è aumentata, vengono costruiti degli edifici di abitazione sulle aree marginali alla strada di congiunzione dei due borghi originari (riconoscibili oggi in via San Francesco d’Assisi e via Caduti per la Libertà) e alle vie ricavate dalla copertura dei fossati nord ed est di Borgo Soave.
3. Nella prima metà del XVI secolo, una volta abbattute le mura, i nuclei originari trovano sfogo a nord verso Vigone, a ovest verso Cavour e a sud verso Cardé. Le nuove zone di espansione sono occupate da cascinali e, solo in epoca più recente, da case di civile abitazione.
LA LOTTIZZAZIONE DI BORGO MUSINASCO
Borgo Musinasco è il primo borgo di fondazione; nasce su un percorso molto importante, che conduce dalla piazza al castello e, da questo, se si prosegue nella stessa direzione, al fiume Po, considerato e vissuto come una delle più importanti vie di comunicazione, di scambi di merci e confronti culturali del periodo. È comprensibile dunque il motivo per cui borgo Musinasco abbia assunto un carattere più specificatamente mercantile e artigianale, rappresentativo delle classi emergenti della comunità.
Il borgo è formato da una crociera di strade, di cui quella principale (oggi via Matteotti) è porticata e presenta un orientamento est-ovest. I quattro isolati che vengono così a formarsi hanno una forma pressoché rettangolare, avente dimensioni variabili comprese tra 70¸95 metri di larghezza per una profondità di 35¸45 metri, comprensiva del portico. L’asse centrale, che conduceva al Castello, ha attualmente una larghezza variabile e si stringe “a imbuto” dalle estremità verso il centro, dove ha una sezione minima di metri 3.50, considerando i portici, e di metri 13, se escludiamo i portici. Le due strade ortogonali ad esso sono larghe 3¸4 metri.
È interessante notare come, in questo caso, l’edilizia che nasce su questo percorso inizia in prossimità di un “polo” (il Castello), si sviluppa lungo una direttrice, fino a quando la distanza delle costruzioni più lontane dal polo stesso non diventa eccessiva e, quindi, non più sufficientemente influenzata dalla polarità che l’ha prodotta. Anche la forma dei lotti, il più possibile rettangolare, risente di questa disposizione lungo un percorso, in quanto questa disposizione offre il massimo sfruttamento dell’area attestantesi al percorso.
Le dimensioni più ricorrenti del fronte dei lotti sulla strada variano tra i 12¸14 metri. In realtà, la lottizzazione originaria prevedeva lotti con un fronte sul percorso di 18¸20 metri, con qualche eccezione di 13¸15 metri. In seguito alla plurifamiliarizzazione degli edifici presenti sul lotto, questo si è suddiviso in profondità dimezzando la dimensione sul percorso. In corrispondenza di questa dimensione originaria del fronte del lotto sul percorso, è ancora oggi possibile verificare l’esistenza delle caratteristiche “ritane”. La fase di ricostruzione della lottizzazione originaria è stata effettuata “ripulendo” le successive e ulteriori suddivisioni, delineando i “tratti” passanti sulla planimetria. Il continuo confronto con la planimetria catastale napoleonica ha poi confermato le conclusioni tratte nell’analisi compiuta.
La disposizione e la forma dei lotti del borgo in esame segue lo schema a “pettine semplice”aventi lotti passanti dal percorso principale a quello secondario, aggregati serialmente per tutta la lunghezza dell’isolato.
L’isolato a sud-est presenta invece, attualmente, una linea marcata che lo suddivide nella sua profondità. Lo schema pertanto diventa quello del “pettine doppio”, sempre con lotti in aggregazione seriale, lineare, aperta.
Questo diverso comportamento è spiegabile dal fatto che l’isolato ha una profondità maggiore rispetto agli altri: è probabile che i lotti, originariamente, fossero passanti (come si può notare dalle linee delimitanti il lotto che continuano senza interrompersi in mezzeria) ma, avendo una profondità troppo elevata, in fase di inurbamento, si sono dimezzati.
LA LOTTIZZAZIONE DI BORGO SOAVE
Se si considerano le planimetrie dei catasti storici si può osservare che la differenza tra lo stato topografico iniziale (fondazione) e quello attuale consiste in una variazione di edifici e non in sostanziali modificazioni di lottizzazione. Ciò è dovuto al fatto che la planimetria consentiva a tutti gli elementi compositivi dell’insediamento di trovare una loro organizzazione funzionale agli usi cui erano destinati.
Borgo Soave ha la forma di un rettangolo irregolare con i lati di 344 e 215 metri (dimensioni massime). Le quattro vie longitudinali e le quattro trasversali che lo attraversano danno origine ad un impianto ortogonale di evidente stampo romano. In realtà, se non si avessero documenti certi della presenza dei romani sul territorio di Villafranca, in tempi antichi, non sarebbe così ovvio poter affermare l’origine romana dell’impianto. Infatti, come sostiene il Vigliano “…non vi erano regole precise per determinare l’impianto di un nuovo borgo nascente; era sufficiente che dimensioni ed orientamento degli isolati fossero correlati soprattutto alla loro divisione in lotti fabbricabili, disposti in modo da permettere una collocazione in pianta degli edifici confacenti al massimo grado di soleggiamento, compatibilmente con le caratteristiche compositive dell’ambiente.”.
Gli isolati ad ovest e a est hanno i lati est-ovest più lunghi (metri 104¸105) ed una profondità di metri 57¸75; gli isolati della fascia centrale sono quasi quadrati (metri 57¸58 x 61¸67). Le strade hanno una larghezza variabile da 6 a 7 metri.
Lo spazio compreso tra gli edifici e le mura era probabilmente destinato alla coltura degli orti e dei prati, come riportato negli Statuti di Villafranca.
Osservando accuratamente la planimetria catastale e “ripulendola” dalle numerose e successive frammentazioni si può notare come ciascuno dei nuovi isolati presenti lotti in aggregazione seriale, lineare, aperta, formando uno schema “a pettine doppio”.
Il “tessuto” che ne deriva è caratterizzato da una modularità comune a tutte le costruzioni presenti in quest’area. Questa modularità esprime, attraverso la dimensione geometrica del lotto, quello che era il concetto di casa urbana più diffuso in quel periodo.
Si può altresì notare come la lottizzazione originaria prevedesse le dimensioni del singolo lotto di circa 20¸21 metri. Questa è infatti la dimensione che si riscontra in modo più ricorrente sulla planimetria e, in molti casi, la dimensione degli isolati è esattamente un multiplo di questa misura. Inoltre, questa dimensione si accorda perfettamente con quella dei lotti delle planimetrie catastali storiche (1806, 1819 e “la Francese” del 1812).
La profondità del lotto corrisponde all’incirca alla metà della profondità dell’isolato, quindi attorno ai 27¸30 metri.
APPROFONDIMENTI BIBLIOGRAFICI
Per approfondire le conoscenze del notevole patrimonio artistico presente a Villafranca Piemonte consigliamo le seguenti letture:
- Pittura a Villafranca Piemonte attraverso i secoli, AA.VV., Gribaudo Editore, Cavallermaggiore, 1992
- Gli Statuti della Comunità di Villafranca (1384), a cura di Giuseppe Reinaldi e Gianfranco Antonelli, Ed. a cura della Biblioteca Comunale di Villafranca Piemonte, 1988
- Gli 800 anni della storia di Villafranca Piemonte, Stefano Grande, Paravia, Torino, 1995 (ristampa anastatica della 1^ ed.Moretta, 1953)
- Memorie storiche di Chiesa e Convento di S. Stefano in Villafranca Piemonte, Padre Giuseppe Borla, Ed. a cura di Pietro Sandrino
- Villafranca Piemonte. Porto e ponte sul Po, Giuseppe Reinaldi, Società Storica Pinerolese, Pinerolo, 1984